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Occhi e croci dei fattorini tranviari

di Marcela Luque

 
Di tutte quelle figure tranviarie di un tempo e che ormai non esistono più, quella che ha da sempre suscitato più interesse è - l'ormai obsoleto - ruolo del fattorino. Forse per il fascino datogli dalla divisa oppure per lo charme di essere a stretto contatto con dei denari in contanti per gran parte della giornata; fascino questo, ancor più irresistibile di qualsiasi tipo di uniforme. Comunque sia, quella del fattorino tranviario era ai suoi tempi -e lo è ancora oggi- una figura completamente fradicia di un certo romanticismo inebriante.
“Si nasce con una vocazione e con un destino. Si è portati, ad esempio, a suonare il violino, a fare il corridore ciclista, o il prete, o il suonatore di grancassa… Ci ha da essere anche una vocazione a fare il tranviere -scrive il noto pubblicista Ercole Moggi nel 1927- almeno suppongo a giudicare dalle centinaia e centinaia di domande che esistono presso la Direzione delle Tranvie Municipali. Tutti vogliono fare il tranviere.”
Questa aspirazione, assai diffusa nei primi decenni del ‘900 e fortemente lusinghiera per la famiglia delle Tranvie Municipali,  poteva suscitare delle illusioni basate su giudizi non del tutto precisi. Si può immaginare che il fattorino tranviario fosse un lavoratore privilegiato e all’apice della scala sociale. Ma come spesso accade con le illusioni, non è oro tutto quel che luccica.
Difatti la vita lavorativa del fattorino, come peraltro quella dei lavoratori tranviari in generale, non era precisamente un soggiorno in villeggiatura.  Intanto il fattorino di padroni ne aveva ben due. Da una parte, l'Azienda Tranviaria Municipale dalla quale era stato assunto e dall’altra, un capo ancora più temuto del primo e sicuramente molto più irriverente: il pubblico. Ed era quest'ultimo, che di impacci e disagi ne creava una grande quantità, al quale il fattorino era assoggettato.
Basta solo immaginare una qualche giornata di fine anni Venti… verso mezzogiorno. Le vie del centro di Torino affollate da una moltitudine che esce dagli uffici, dai negozi, piena di fretta, disordinata e tumultuosa. La fermata del tram è naturalmente stracolma e i passeggeri sbuffano impazientiti mentre  allungando el collo nella speranza di vedere comparire nell’orizzonte la figura del tram. «Viene o non viene questo tram della malora?». «Questo servizio è indecente»: «Già, proprio a mezzogiorno, quando le vetture dovrebbero essere raddoppiate…». «E’ una schifezza, ecco». «E noi si paga…». -descrive in modo colorito Federico Cornero- «Finalmente! Eccolo là!». «Madonna mia, che piena!». «Avanti, avanti. Non c’è tempo da perdere». «Permesso? Permessoooo?». «Scusi, vuol togliersi dal passaggio, lei?». «Già: e dove mi ficco?». «Si ficchi dove vuole, ma si tolga di lì». «Presto detto, lei: non vede che non ci sta più un’acciuga?». «Ah sì?» «Che modi son questi?». «Villano!». «Come, villano?». «Chi ha detto villano?». «Io, per servirla». «Stia sicuro che la servo io, subito». «Vedremo, vedremo, quando scenderemo…».
Intanto il tram corre e la massa di passeggeri attende l’epilogo della contesa.  Poi, tranquillamente, uno dei due scende e se ne va sotto lo sguardo fiero di quel contrincante che vede il nemico in fuga dal campo di battaglia.  A bordo c’è chi non vuol sentire rumori perché intende sonnecchiare; c’è chi patisce il rumore assordante del fischio del rimorchio e c’è anche chi dà libero sfogo ai sensi lirici mettendosi a cantare: «Eri tu che macchiavi…quell’angolo».
Calmatesi le acque, il fattorino riprende il suo ritornello in modo rassegnato: «Signori, biglietto!». con la certezza che da qualche parte, accovacciato tra la massa inerme di passeggeri, troverà la sua nemesi: il truffatore tranviario. 
 
Imbroglioni ed imbrogliati
I truffatori tranviari agivano individualmente e in autonomia e non erano così facili da individuare. Vi si nascondevano ora sotto la veste di uno studente universitario pieno d’ansia per l’imminente esame, ora sotto quella di una giovane ed attraente signorina immersa nella veduta del paesaggio cittadino, ora da qualche gentiluomo che rifiuta il biglietto offertogli dal fattorino alludendo alla parola chiave di allora: «Tessera!». 
“Il falso distratto - sostiene Moggi nel suo articolo - sarebbe come il falso tonto alla barriera per non pagare dazio. Osservatelo con che studio froda la corsa. O è il panorama che lo assorbe, o il sigaro che non tira, o il vicino con cui chiacchiera. Molte volte invece d’un uomo si tratta di una donna. Sissignori. Essa ha l’aria ispirata, o malinconica, o leggermente poetica: in tutti e tre i casi, tiene un atteggiamento distratto. Ogni tanto tira un sospiro e questo sospiro tradotto in lingua non poetica vuol dire: «Riuscirò questa volta ad imbrogliare il bigliettaio?».
Sembra che di questi figuri ve ne fosse almeno uno in ogni corsa al punto che viene loro dedicato un intero articolo nella rivista delle Tranvie Municipali. “Questo che si vuol chiamare distrazione è invece la misera difesa di chi sa di aver mancato gravemente - sentenzia Cornero dalla rivista ATM - non per il valore in sé considerato ma per quel senso di dignitosa lealtà a cui egli comprende di esser venuto meno.”
Molto si era discusso sulla cosiddetta truffa tranviaria ponendo l'accento sul fatto di quei passeggeri che si dichiaravano “abbonato”. Sembra che fossero in tanti i passeggeri ad appellarsi a questa parola magica, una specie di convenzione che dispensava dal mettere mano al portafoglio per pagare il biglietto. La discussione quindi, si sviluppa sul fatto se dichiararsi abbonato senza esserlo potesse costituire ciò che giuridicamente si chiama truffa. Dal punto di vista della definizione, vi era sicuramente qualche riscontro: “Questa - spiega Federico Cornero riferendosi alla truffa - è infatti il fatto di colui che riesce con raggiri ed artifizi a trappolare il prossimo ed a conseguire così un utile proprio, per quanto illegittimamente guadagnato."
E nel tracciare un profilo del truffatore tranviario aggiunge: “E’ necessario, naturalmente - e qui sta l’essenza stessa del delitto - che la vittima sia di ingegno de intelligenza normali: poiché se si trattasse invece di un deficiente o di uno scemo, è chiaro che l’abilità truffaldina di un individuo potrebbe limitarsi così ad una inefficacia pratica assai inferiore a quella necessaria per poter indurre in inganno una persona normale.”
In effetti il fattorino un mezzo a disposizione per scoprire l’inganno ce l’aveva: quello di chiedere la tessera al passeggero o passeggeri che si dichiarassero abbonati. Perciò se tale facoltà non venisse espletata allora il fattorino diventa complice oppure vittima dell’inganno di quel personaggio che “calcola sul tram carico, sui passeggeri irrequieti, vivo movimento di scarico e carico tutte condizione che non lasciano tempo né modo al fattorino di controllare la affermazione «abbonato» pronunziata dallo scroccone alla sua offerta del biglietto.” Giusta osservazione! Ai tempi ci si fidava sulla parola, senza tanto bisogno di esibire qualche tipo di evidenza.
Secondo la fattispecie descritta da Federico Cornero, diverso era il caso dei distratti “a cui l’abbonamento è scaduto da qualche giorno, oppure che, abbonati a qualche rete diversa, ripetono macchinalmente il gesto dell’abbonato, a cui sono avvezzi da molto tempo e che per loro costituisce ormai un’abitudine che si esercita senza che il cervello od il ragionamento vi intervengano.” Anche gli “inesperti a cui il possesso di un biglietto di corrispondenza o del biglietto da una lira detta un gesto che vuol sostanzialmente dire «Il biglietto l’ho già», oppure «mi è già stato bucato» e che talvolta viene interpretato come il fatidico gesto dell’abbonato,” andavano scagionati e separati da quella “purtroppo numerosa schiera dei bricconi che meritano veramente il nome che si è loro dato,” cioè, quello di truffatore tranviario.
 
Il problema della bucatura
E se il tranviere della corsa precedente avesse sbagliato nella bucatura del biglietto? Allora si scatenava l’inferno per il povero tranviere della corsa successiva! Il passeggero, naturalmente, aveva la pretesa che il tranviere della linea successiva prendesse per buono il biglietto irregolare, creando così, oltre l’errore del primo tranviere una irregolarità per il secondo.
Ecco subito il cittadino che protesta: «Io non ci ho colpa. La mia corsa l’ho pagata. E’ il tranviere che ha sbagliato!..Non pago». E naturalmente nella vastità della folla non è difficile trovare degli altri passeggeri che gli fanno eco: «Colpa del tranviere, quello dell’altra linea. Quindi lei tenga valido il biglietto irregolare!»
Ma il fattorino tranviario continua la sua corsa cocciutamente e, malgrado queste gioie del mestiere, lui  passa e ripassa davanti ai passeggeri offrendo i biglietti. E passa davanti a colui che guarda il panorama, al politico che legge il giornale, all’operaio che sonnecchia, alla signora dell’aria malinconica. E senza arrendersi ripete con voce monotona: «A chi manca il biglietto?» mentre il tram continua la sua corsa e lui bada, urtato, sballottato e malmenato a che tutti scendano bene, che i pericolanti aggrappati alle maniglie - tanto frequenti quanto i truffatori - trovino posto.
Impossibile quantificare, seppur in modo approssimativo, tutti gli esemplari di passeggeri che esigono dal fattorino una prova di pazienza infinita. “Spesso, spettatore indifferente, io conto -confessa Cornero - i casi innumerevoli in cui la «clientela» mette a dura prova i nervi del più mansueto dei fattorini. Di questo clientela, la grandissima maggioranza è femminile.”
Donnette del popolo, contadine robuste oppure ragazzine timide che appena salite sul carrozzone davano inizio a martellanti domande: «Scusi, questa è bene la linea tale?». «Sì, perfettamente.»: «Dica un po’, sa dove è tale via?». «La tale via, sì, stia tranquilla: è ancora lontana…». «Sa,  io devo andare al n. 24: è molto in giù?». «Cara signora, questo non glielo saprei dire». «Mi avverte, vero, quando ci siamo?». «Sì, sì, non dubiti ». «Madama – insinua con dolcezza il fattorino a una tonda contadina con un’enorme cesta di verdura- il cesto è troppo grosso: passi sulla piattaforma anteriore». «Ma non posso: non sa che la verdura è cara e se mi rubano qualche cosa mio marito mi legna? Senza contare che fuori tira una «bisa» della malora?». «Ma non so che farci, madama: se non può o non vuole, scenda». «Scendere io?». «Proprio lei». «Ma lei è matto». «Badi come parla». Intanto sale un controllore e madama scende tra sbuffate e maledizioni che parto come raggi in direzione del fattorino.
Invece, ecco una madamina bella e scodinzolante, che si accinge a scendere mentre raccoglie con piacere le occhiate di qualche passeggero del sesso opposto. Il tram corre ancora e madamina è già pronta sul predellino. «Piano, madamina: guardi che corre ancora…stia attenta». Macchè! Madamina scende elegantemente al rovescio, come il novanta per cento delle passeggere: uno scivolone, un grido…eccola scodellata per terra, senz’altro male che una bella patacca di fango dove finisce la schiena…» Quindi il passeggero cavalleresco, che prende partito per la donna, biasima il fattorino per non aver suonato a tempo mentre scende per aiutare “madamina” ad alsarzi. 
Un simile episodio ebbe luogo all’angolo della via San Francesco d’Assisi e via Pietro Micca con conseguenze disastrose per il fattorino coinvolto. Come riportato sui giornali del 21 novembre 1928, un passeggero imprudente rincorre il tram, una vettura della linea 10 mentre era già in moto. L’insegue, la raggiunge, si afferra alle maniglie, spicca il salto. Il salto fallisce e lui resta aggrappato alla vettura e viene trascinato per alcuni metri fra le grida di spavento dei passeggeri. Il fattorino Claudio Vesco, si lancia in soccorso del passeggero, lo afferra e tenta di issarlo sulla vettura. Ma il povero Vesco ruzzola a sua volta dalla vettura e mentre l’imprudente si rialza impolverato ma incolume, il povero Vesco è raccolto malconcio e ne ebbe circa un mese di malattia di seguito a questo episodio.
Finalmente il tram si spopola. E il fattorino sa di poter contare con alcuni nuovi nemici: quelli che lungo la corsa sono stati colti senza biglietto.  Ma finalmente siamo al capolinea. Infine soli! Cinque minuti di respiro!
 
Fonti:
Tranvieri e pubblico, Ercole Moggi, Rivista ATM, anno II, numero 2, marzo 1927.
Croci e delizie tranviarie, Federico Cornaro, Rivista ATM, anno III, numero 2, gennaio-febbraio 1928.
Imbrogli ed imbroglioni: la truffa tranviaria, Federico Cornaro, Rivista ATM, anno III, numero 3, giugno-luglio 1928.
 
Didascalie:
Le immagini 1 a 5 illustrano articolo Croci e delizie tranviarie.
Le immagini 6 a 9 illustrano articolo Tranvieri e pubblico.
Le immagini 10 e 11 illustrano articolo Imbrogli ed imbroglioni: la truffa tranviaria.